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Pancakes del lockdown

Tra le ricette che si sono rivelate più utili in questo periodo, ci sono sicuramente loro: i miei amati pancakes di piselli. Già riproposti altre volte con lo tzaziki o con un paté di pomodori secchi, sono un piatto che mi accompagna da sempre e che trovo estremamente versatile.

Vi racconto com’è andata. Tempo di quarantena, tempo di spese contingentate, tempo di grande oculatezza in cucina. Siamo in un lunedì sera della primavera 2020, so che è lunedì solo perché il carico di verdura ordinato con il G.A.S. arriverà il martedì. La penuria parla. Nel frigo giacciono una carota e una manciata di foglie di cicoria, in freezer i piselli e dei frutti di bosco surgelati (inutili alla realizzazione della ricetta, ma è più un ritrovo tra reduci, che una performance gourmet), in dispensa una cipolla, la farina e del latte vegetale. La strada è illuminata a chiare lettere, la tahina non manca, siamo pronti a partire.

Svuotafrigo pretenzioso

Cosa serve (per 2 persone):

  • 230 g di piselli surgelati
  • 100 g di farina integrale
  • 200 ml di latte vegetale o acqua
  • 1/2 cucchiaino di bicarbonato
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 3 cucchiai di olio evo
  • verdure agonizzanti in frigo (carota e cicoria per me)
  • cipolla marinata in acqua e aceto o acidulato di umeboshi
  • 1 cucchiaio di tahina
  • 1 cucchiaino di acidulato di umeboshi (o succo di limone/aceto+sale)

Come si fa:

Per prima cosa, se desiderate usare la cipolla, tagliatela a spicchi sottili e mettetela a marinare in acqua e aceto o acqua e acidulato di umeboshi. Io vado a caso con le dosi, e la lascio marinare tutto il giorno. Potete anche semplicemente saltarla in padella con un filo d’olio e un goccio di aceto, se non avete tempo.

Lessate i piselli e scolateli. Frullateli con il latte (o l’acqua) e l’olio. Aggiungete la farina, il sale e il bicarbonato e mescolate con una frusta. Le dosi possono variare a seconda degli ingredienti, ma la regola di base è che il composto deve essere piuttosto denso. Potete cuocerne uno solo per vedere se il risultato vi soddisfa. Scaldate bene una buona padella antiaderente, quando è molto calda versare un mestolino di impasto alla volta per formare i pancakes. Quando si formano le bollicine in superficie (dopo circa 2-3 minuti), girateli con una paletta e cuoceteli per uno-due minuti dall’altro lato. Teneteli in caldo.

Se la vostra padella non dovesse essere abbastanza antiaderente, tenete a portata di mano un piattino con un goccio di olio e un quadrato di carta da cucina, e ungete il fondo tra un pancakes e l’altro.

Nel frattempo, tagliate le carote a nastri, lavate le cicorie e preparate la divina salsa preferita: il ta-ume (tahin-umeboshi). In una ciotolina, mescolate un cucchiaio di tahina con un cucchiaino di acidulato di umeboshi, quindi aggiungete, poco alla volta, un pochino di acqua per renderla fluida quanto volete. Questa salsa io la uso per tutto: verdure crude, verdure cotte, insalate, insalatone, risi bolliti, pancakes, ma soprattutto asparagi! Attenzione, può dare dipendenza.

Servite! Impilate i vostri pancakes caldi, aggiungete la salsa ta-ume, le verdurine e, se vi sentite chic, qualche immotivato elemento colorato come i frutti rossi surgelati.

Mangiate sognando il frigo pieno dell’indomani.

Mood spring 2020
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Un armadio pieno di mandorle – ricetta per la panna

Seconda puntata

La prima puntata sul perché ho accumulato un discreto tesoretto di mandorle la trovate qui.

Rieccoci! Dicevamo del latte, che poi ci lascia con una discreta quantità di polpa di mandorla – ma ora che avete studiato sapete che si chiama okara. Cosa farne? Richiamo alla memoria le regole fondamentali del nostro club.

Prima regola della cucina sostenibile: non si butta niente. Seconda regola della cucina sostenibile: non sempre va esplicitato cosa abbiamo usato e dove (vedi certe mie recenti tendenze a sfornare torte paesane che raccattano un po’ tutto quello che è avanzato in frigo. Ma ci arriveremo passo passo, che vi sento già turbati).

Okara di mandorle, che farne? Le scelte sono svariate. Considerate che si presenta come una farina di mandorle più o meno asciutta a seconda di quanta forza sovrumana avete adoperato nel fare il latte. Potete usarla fresca nell’impasto di torte, muffin, crackers e crostate; potete aggiungerla nelle polpette e negli sformati; o potete farne una crema pannosa, che poi è quello che ho fatto io. Potete anche essiccarla e conservarla in dispensa per i tempi futuri. Dato che siamo in quarantena, non prendo in considerazione l’ultima opzione e, anche se lavoro tutto il giorno, la cucina rimane una gran bella distrazione.

PANNA DI MANDORLE

Non immaginatevi una panna leggera come quella che si compra nei supermercati biologici: questa è corposa e ricca di fibre (stiamo proprio riciclando quelle!), ma comunque voluttuosa. Io la uso come topping per porridge o pancakes, o per legare una pasta con le verdure. Ne basta poca!

Porridge di avena con panna di mandorle e frutti di bosco surgelati AKA gattino che dorme nel prato

Cosa serve:

  • okara di mandorle
  • una manciata di mandorle ammollate in acqua per 12 ore (rendono il risultato più cremoso)
  • un pizzico di sale
  • acqua qb

Come si fa:

In un frullatore tipo blender versate le mandorle, l’okara, il sale e l’acqua necessaria a far funzionare le lame (cioè poca, la aggiungerete man mano). Che acqua usare? Va benissimo quella dell’ammollo o del rubinetto.

Frullate per almeno un paio di minuti, aggiungendo acqua man mano fino a che non avrete raggiunto una densità che vi soddisfi. Assaggiate, toccate la consistenza (a motore spento, chiaramente, ci manca solo che finiate al pronto soccorso per colpa mia) e capirete da soli quanto la volete spessa.

Versatela in un barattolo ermetico (do per scontato che anche voi abbiate interi armadietti dedicati al culto del vetro riciclato) e conservatela in frigorifero. Tenderà a separarsi: la parte più pannosa in superficie e quella più liquida sul fondo. Agitatela se volete ripristinare l’emulsione, o godetevi questo divorzio e sfruttatelo a vostro vantaggio.

Tana di vetri, una delle tante

Torno presto a deliziare il vostro tirocinio in cucina. State bene!

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Un armadio pieno di mandorle – ricetta per il latte

Prima puntata

Doverosa premessa: ci voleva il coronavirus per farmi scrivere delle ricette sul sul blog. Dunque, dovete sapere che poco tempo fa il Gruppo d’Acquisto Solidale di cui faccio parte ha proposto un ordine di mandorle biologiche pugliesi. Io sono ghiotta di frutta secca e semi oleosi, anche perché sono una fonte importantissima di nutrienti essenziali, infatti dovremmo mangiarne 30 g al giorno. Io li uso in mille modi, ma fatico a trovarne di buona qualità e a prezzi competitivi (tanto per chiarirci, nel supermercato vicino a casa vendono le mandorle a oltre 23 €/kg, non biologiche – una rapina) per cui attendo sempre con ansia momenti del genere. C’è chi aspetta il black friday e chi vibra al pensiero del prossimo ordine di olio coratina. Morale: ho comprato quasi 10 kg di mandorle, nell’ilarità generale.

Ridevano tutti delle mie provviste da scoiattolina alle porte dell’inverno, poi è arrivato il Covid-19 e improvvisamente stipare la dispensa con chilogrammi di vettovaglie è diventato normale, anzi, una moda. Anche stavolta una Bettitaglietti in anticipo sui tempi. Mi permetto di sottolineare una differenza, per quando tutto questo sarà finito: io non faccio scorta di prodotti in vendita nella grande distribuzione organizzata, dei quali i rifornimenti sono assicurati sempre e comunque. Anzi, non li compro nemmeno. La penne nei pacchi blu, lisce o rigate che siano, non le acquisto da che ho una coscienza politica. Abbiamo scoperto che siamo capaci di ammassare in casa venti confezioni di pasta? Benissimo: iscriviamoci a un G.A.S. e iniziamo a comportarci da consumatori consapevoli, che pagano i produttori e non un sistema che non funziona.

Parlavamo di mandorle, però, e di tutto quello che possiamo farci in giorni come questi, quando la cucina diventa evasione e salvezza. Potremmo scoprire che fare il latte in casa è semplice e ci permette di evitare le confezioni di tetrapak, che sono certamente pratiche e riciclabili, ma sempre di rifiuti si tratta. Abbiamo il tempo per scoprire delle piccole autoproduzioni: approfittiamone.

LATTE DI MANDORLE

Fare il latte di mandorle è semplice: basta metterle a bagno in acqua fredda, frullare e filtrare. Se avete un estrattore, ancora meglio, perché fa tutto lui.

Un cappuccino con la cannella e passa la paura

Cosa serve:

  • 100 g di mandorle pelate
  • 400 ml di acqua
  • un pizzico di sale
  • un dattero denocciolato se vi piacciono le cose dolcine

Come si fa:

Mettete le mandorle in ammollo con acqua e sale (e dattero, eventualmente) per 12 ore. Il rapporto per ottenere un buon latte va da 1:3 a 1:5, ossia una parte di frutta secca per tre, quattro o cinque parti di acqua. Se mettete più acqua verrà troppo diluito, se ne usate di meno costerà troppo e mi verrete a cercare. Se avete le mandorle non pelate, sbucciatele dopo l’ammollo (eventualmente cambiate l’acqua). Se vi aiutate con un telo da cucina è semplice: mettete le mandorle su una metà e frizionatele con l’altra metà del telo, come se fosse chiuso a libro. Se non ci riuscite, ricordatevi che avete il pollice opponibile.

[FRULLATORE] Versate tutto nel boccale di un frullatore e frullate per due minuti alla massima velocità, quindi filtrate il latte ottenuto separando la polpa (in gergo chiamata okara) con un colino a maglia fitta o in un quadrato di stoffa bianca pulita (ideali sono uno scampolo di lino o cotone, sciacquati benissimo da ogni residuo di detersivo – io li faccio addirittura bollire ma forse esagero). Strizzate bene per ottenere quanto più latte possibile. PS se fate riposare il latte un’ora in frigorifero prima di filtrarlo, otterrete un latte più ricco.

[ESTRATTORE] Versate tutto in un estrattore, avendo l’accortezza di chiudere la bocchetta di scarico, in modo che l’acqua possa lavorare al meglio con le mandorle. Aprite la bocchetta et voilà! Pronto.

Si conserva 4 giorni in frigorifero, ma lo sapete meglio di me che finirà in 24 ore al massimo. Non buttate l’okara, che torna sempre utile dentro un biscotto o una polpetta e attendete la prossima puntata dei miei deliri alla mandorla.

PS per fare la schiuma da cappuccino senza la macchina apposita, usate il minipimer: fate su e giù nel pentolino incorporando aria, e datevi un tono su Instagram.

Una vita difficile.

Ci vediamo tra qualche giorno per la seconda puntata!

dolci, quick & easy, raw

tartufini super

Farò  finta che non siano passati tredici mesi dall’ultimo post, e ventiquattro dal penultimo. Mi sento come la studentessa che arriva a fine lezione senza aver portato i compiti e cerca di non farsi notare. Striscio lungo i muri senza che nessuno mi veda e fingo di essere qui da sempre a dispensare ricette a tutti. Quindi, con nonchalance, eccovi un’idea veloce e testatissima per preparare qualcosa di valido. Dopo tutto, se sono riemersa dal mio torpore per mettere qualcosa, di sicuro è perché ne vale la pena.

Ma prima, due parole sugli ingredienti: questi tartufini sono preparati solo con frutta fresca e secca, semi oleosi e poco altro. Nulla di particolarmente difficile da reperire o eccessivamente costoso (a parte la carruba in polvere, che si trova nei negozi di alimentazione bio: però, una volta che la comprate, siete a posto per una vita). Se mi conoscete, sapete bene come la penso sui vari superfood d’importazione assolutamente necessari per una vita vegan healthy molto instagrammabile: non fanno per me. Il motore di ogni mia scelta, sia essa alimentare o non, riguarda l’impatto che questa avrà sulla Terra, ragion per cui scelgo alimenti a km 0 – o quasi (leggi: niente pioggia di avocado) e assolutamente di stagione. Quindi: se cercate lucuma, maca e affini, coltivate in altri emisferi, trasformate e vendute in inutili bustine di plastica (a cifre semplicemente folli)… avete sbagliato posto.

E se non siete scappati tutti col pippone del rientro, ecco la ricetta <3

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Cosa serve (per 20 tartufini): 

  • 100 g fichi secchi
  • 40 g uvetta
  • 100 g carota
  • 1 arancia non trattata (succo e scorza)
  • 40 g semi di girasole
  • 40 g noci sgusciate
  • 60 g mandorle tostate
  • sale marino integrale
  • polpa di carruba in polvere

Come si fa:

Grattugiate la carota e immergetela nel succo di arancia.

A parte, tritate grossolanamente al coltello i fichi, l’uvetta, i semi, le mandorle e le noci. Riuniteli quindi nel frullatore con le carote sgocciolate (bevete il succo!!), la scorza d’arancia e un pizzico di sale e azionate con la funzione intermittente (pulse) fino ad ottenere una pasta piuttosto densa e compatta. Lavoratela con il dorso di un cucchiaio, quindi prelevatene delle palline, modellatele velocemente e tuffatele nella polvere di carruba.

Per eliminare l’eccesso di carruba, fatele roteare in un colino a trama fitta per qualche secondo. Conservateli in frigorifero in un contenitore ermetico.

bdr

Perfetti a colazione o a metà mattina: i grassi buoni e gli zuccheri con tante fibre vi faranno avere energia da vendere per taaanto tempo!

A presto per davvero (e nel frattempo venite a trovarmi su instagram o sulla pagina facebook.

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melanzane speziate all’aceto balsamico, riso rosso e nuovi inizi

Questo blog ormai è una danza della latitanza e della titubanza. Titudanza. Riesco a immaginarla: muovo il piede destro o quello sinistro? Le braccia dove le tengo? Vengo o non vengo?

So che dietro lo schermo ci sono tante persone che non vedo da tempo, che ogni tanto passano di qui a vedere che combino, e so di deluderle rimandando di continuo la pubblicazione di qualcosa. Tutto mi sembra sempre troppo poco: poco creativo, poco bello, poco utile. Il web pullula di qualsiasi ricetta, ognuna riprodotta in decine di varianti, e il mio apporto alla causa mi pare facoltativo, trascurabile, irrisorio. Il tempo richiesto per una ricetta fatta bene non c’è mai: io voglio mangiare, posso sì scattare una foto col telefono ma di sicuro non tiro fuori la reflex per questa inutile robetta. E la storia, ciclica, si ripete: tutto è buono ma niente è all’altezza. Tanto vale chiudere?

Penso poi al mio percorso: togliere, togliere, togliere. Sempre meno zucchero, niente margarina, niente olio di palma, niente alimenti raffinati: il mio gusto cerca sapori diversi da quando ho iniziato e infilavo mezzo panetto di margarina in ogni torta. Più puro, più sano. Tante mie amiche blogger stanno facendo lo stesso, chi più e chi meno, chi prima e chi dopo. Ma non è un percorso universale: le mamme delle amiche, le amiche della mamma, chiunque abbia piacere a passare di qui, non tutte partiamo dallo stesso punto. Allora forse conviene andare avanti a mettere quello che cucino, quello che mi piace, la mia cucina quotidiana che è molto soddisfacente, e pensare alle mie donne che aspettano un consiglio o una ricettina.


Fatta questa doverosa premessa, che spiega molte cose (del perché preferisco scattare foto sulla mia pagina facebook, scrivere ricettari a macchina e fare corsi a contatto con la gente), mi ritrovo tornata dalle vacanze con la casa vuota tranne per un paio di cose. Tra queste un pacco, conservato come l’oro, di riso ermes, donatomi da una nuova amica (con il nome più battagliero che il mondo ricordi) quando l’estate era appena iniziata ma di caldo ce n’era già un gran tanto.

melanzane

Cosa serve (per 3):

  • una melanzana di media grandezza
  • uno spicchio d’aglio
  • un cipollotto
  • due coste di sedano
  • una manciata di uvetta
  • cannella, noce moscata, due chiodi di garofano, peperoncino, sale integrale
  • aceto balsamico di modena di buona qualità
  • un cucchiaio di zucchero mascobado (meglio succo d’agave, se l’avete, o malto)
  • un mazzettino di prezzemolo
  • riso ermes (due pugni a testa)

Come si fa:

Tagliate la melanzana a fette spesse 8 mm e cospargetele di sale fino. Fate riposare per trenta minuti. Sciacquate e tagliate a dadini, fate a fettine anche il sedano. Scaldate un fondo d’olio con un pezzetto  di peperoncino e imbiondite aglio e cipollotto tritati. Unite le melanzane e il sedano, l’uvetta, le spezie a piacere, un bicchiere d’acqua, due-tre cucchiai di aceto, lo zucchero e coprite. Cuocete a fuoco dolce per trenta-quaranta minuti, controllando che non si attacchi al fondo. Regolate di sale, alzate la fiamma per far rapprendere il tutto, unite abbondante prezzemolo tritato e servite con riso ermes bollito.

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gazpacho di anguria

Che faccia un caldo irreale ce ne siamo accorti tutti. Quando esco dalla mia tana sento la pelle che mi brucia, le zanzare mi divorano nonostante i repellenti che mi spalmo, e tutto è una fatica. In casa, dove sono confinata per studiare, me la cavo egregiamente con un ventilatore e un catino d’acqua in cui pucciare i piedi mentre sto seduta al tavolo. Dignità zero ma goduria elevatissima.

Quindi? Mangio sostanzialmente insalate, frutta e verdura cruda, qualche volta mi faccio una pasta e sudo nel farla e sudo nel mangiarla, allora mi passa la voglia e torno ai miei cetrioli. No pasta al sugo, no pasta al sudo.

Come se non bastasse, non posso più mangiare i pomodori: la mia allergia al nichel si è stronzificata e non posso più fare finta che non esista. Estate doppiamente difficile: sto mangiando cetrioli e zucchine, zucchine e cetrioli e mi annoio, quindi metto frutta dappertutto, e cipolla cruda. Tanto sono chiusa in casa, nessuno avrà qualcosa da ridire (forse).

Ma l’estate per me vuol dire gazpacho, e averlo preparato al pomodoro l’altra sera mi ha fatto salire una voglia irrefrenabile. E proviamo con l’anguria, dai. Tanto il concetto di base è semplice: pane secco, aceto e un goccio d’olio, verdura, un goccio d’acqua. Frigo. Frulla.

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Cosa serve:

  • due panini secchi
  • un pezzo di anguria (da 1/4 di anguria – il classico spicchio che vi tagliano al mercato – ricavatene 1/3)
  • un cetriolo
  • tre coste di sedano
  • un cipollotto di tropea
  • aceto di vino rosso abbondante – da provare con l’aceto balsamico o altri aceti carini
  • olio evo
  • sale o acidulato di umeboshi (meglio!)

Come si fa:

Va preparato almeno sei ore prima. Al mattino o a mezzogiorno per la cena, la sera per il pranzo.

Spezzettate il pane (se è troppo duro lasciatelo così), mettetelo in una ciotola e conditelo con abbondante aceto. Aggiungete l’anguria a pezzi, il cetriolo a fette, il sedano a tocchetti e il cipollotto a fettine. Unite un goccio d’olio (poco!), un paio di cucchiai di acidulato di umeboshi (che sala e acidifica ulteriormente, io lo amo!) o un pizzico di sale, versate un bicchiere d’acqua e mescolate.

Coprite e refrigerate.

Al momento di consumarlo, frullatelo aggiungendo acqua se lo volete più liquido (a me troppo brodoso non piace, preferisco tenerlo un po’ cremoso).

Extra: scorza di limone o menta o melissa. No, niente vodka.

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cracker: si può faare!

post un po’ scemo, oggi. Sono sul letto a studiare, esattamente come ho fatto per tutto il liceo (nel senso che non amavo stare alla scrivania, non che ero una secchiona), a pranzo mi sono sbriciolata addosso i cracker che ho preparato ieri sera, con l’ hummus avanzato. Una pacchia. Ci tengo a sottolineare che non ho fatto finire le briciole tra le lenzuola: potrei impazzire!

Cracker, quindi: perché mai una in fase di studio dovrebbe mettersi a sfornare cento (C E N T O) pezzi sottili di pasta lievitata? Perché ha bisogno di altro, e questo altro se è croccante e al rosmarino ci piace anche di più! Al supermercato o hanno olio di palma o hanno costi proibitivi, e quindi: let’s do this! Prima di mettermi all’opera, ho cercato delle ricette su internet. Una volta ero brava, leggevo ed eseguivo, magari cambiando qualcosa; adesso leggo e mi dico “non hai gli ingredienti giusti!”, “oddio questa ha messo 25 g di lievito, è matta?”, “ma tutti con la pasta madre? uffa! io non ce l’ho” eccetera. Quindi va a finire che vado in cucina e improvviso, stando attenda alla consistenza delle cose, e spero che vengano bene. A volte non funziona affatto, altre volte mi bullo di aver creato piccoli capolavori. Tipo questi cracker: li volevo esattamente così – seeee, come no.

Comunque sono buoni, sono veloci, sono fatti con le farine che avevo in casa quindi meglio di così non potevo fare, e sono una cifra. Cinque alto ai crackerini!

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Cosa serve:

  • 200 g di semola di grano duro bio
  • 300 g di farina integrale bio
  • 1 cucchiaino di lievito secco in granuli
  • 1 cucchiaino colmo di malto di riso o orzo
  • circa 280-300 ml di acqua tiepida
  • 1 cucchiaino di sale fino (non sono eccessivamente salati: per me sono perfetti. Se cercate il gusto salato forte potete mettere qualche grano di sale in superficie – ma fa male e sono buoni così, quindi evitate, dai 🙂
  • 1 cucchiaio di aghi di rosmarino spezzetttati (o quello che avete)
  • 1 cucchiaino di foglie di lavanda spezzettate (facoltativo)
  • 30 g di semi di lino (o quelli che avete)
  • 30 ml di olio evo

Come si fa:

In un bicchiere mettete il lievito, il malto e un po’ di acqua tiepida (prelevatela dal misurino – fino a circa metà bicchiere) e mescolate per sciogliere bene tutto. Mettetelo sul calorifero per 10 minuti. In una ciotola mettere le farine, il rosmarino e i semini. Aggiungere l’acqua con il lievito e la schiuma, impastare aggiungendo l’olio e la restante acqua in cui avrete sciolto il sale. Trasferitevi su una spianatoia infarinata e impastate vigorosamente per almeno 5 minuti, in modo che l’impasto si rassodi e diventi meno appiccicoso. Aggiungete acqua se è duro, farina se appiccica ancora: alla fine dovete ottenere una palla morbida. Lasciatela sulla spianatoia infarinata, copritela con la ciotola che avete usato e andatevene. Tornate dopo un’oretta. Dividete il composto in 4 palle e appiattitele, una per volta, sulla spianatoia infarinata, con il mattarello anch’esso infarinato. Lo spessore finale si aggira intorno ai 3 mm. Ritagliate dei rettangoli con la rotella dei ravioli e fateli riposare per 30 minuti. La grandezza dei rettangoli è variabile: io sono stata all’incirca intorno alla misura da cracker 😉

Scaldate il forno a 190°C, adagiate i cracker su una teglia rivestita di carta da forno e bucherellateli con una forchetta. Cuoceteli per 15-20 minuti, finchè non sono dorati, dopodichè metteteli su una gratella a raffreddare e infornatene degli altri. Ci vuole del tempo, è vero, ma alla fine avrete una bella scorta!

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Abbinamenti

più che abbinamenti parlo proprio del piatto che avevo in mente quando mi sono inventata i cracker. Avevo voglia di finocchi cotti (giuro, ho appena scoperto che se li tieni poco sul fuoco si brasano e diventano buonissimi. Lo so cosa pensi, facevano schifo anche a me) e di hummus (ma mi sembrava un po’ aggressive quidi l’ho reso più delicato).

Finocchi brasati

Per preparare i finocchi dovete tagliarli a spicchi, lavarli bene e scolarli. In una padella grande scaldate un generoso filo di olio, unite i finocchi e, a fiamma alta, dategli quei colpetti che vi fanno sentire tanto bravi in cucina. Copriteli anche, per qualche minuto, ogni tanto gli date una girata, e dopo 7 minuti al massimo li togliete. Sale, pepe, semi di finocchio et voilà!

Hummus delicato

Per l’hummus invece ho frullato dei ceci (saranno stati 350 g circa) con il succo di mezzo limone, 3 cucchiai di olio, 3 cucchiaini di crema di mandorle, uno spicchio d’aglio tritato, un pezzetto di zenzero tritato, un po’ di acqua di cottura, del sale. Stop.

E vi dico che tutto insieme era davvero molto buono, questo menu frankenstein. Si può faaaaaare!

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parlando di avanzi

quando si parla di avanzi ognuno ha la sua: chi preferisce surgelare tutto per eventuali tempi stretti, chi li regala perché odia mangiare due volte lo stesso piatto, chi li ricicla in operazioni di recupero più o meno riuscite, chi infine apre il frigorifero e ama trovare “la ciotolina di parmigianina diaccia” (ghiacciata) per riempire il buco allo stomaco (cit.).

Io mi rivedo in tutte queste, e vuoi la noia, vuoi esplicite richieste (“mi fai le polpetteee?”), alla fine ci si reinventa sempre un po’.

Ultimamente di ricicloni carini ne son venuti fuori un paio: ve li presento qualora vogliate prenderne nota.

Per riciclare la farinata: dadini nella vellutata!

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La farinata si prepara con 250 g di farina di ceci stemperati in 750 ml di acqua, un pizzico di sale e un paio di cucchiai di olio. Va fatta riposare almeno tutta la notte, mescolando quando vi ricordate, e poi cotta a 250° per 30 minuti circa, in una teglia bella unta di olio bollente. Aggiungere pepe in abbondanza.

La vellutata prevede un soffritto di cipolla e paprika, poi patate a dadini e spinaci anche surgelati, tutto coperto di acqua o brodo vegetale. Dopo 20-30 minuti al massimo, frullare.


Per riciclare invece la classica zuppa di legumi misti: purpett’!

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La zuppa si prepara mettendo a mollo per una notte 250 g di misto-per-minestra-di-legumi, poi cotti con un pezzetto di alga kombu. A fine cottura dei legumi aggiungere un soffrittone di verdure e erbe a piacere e cuocere finché le verdure non sono tutte cotte. Olio, sale, pepe, via.

Le polpette si fanno frullando la zuppa “asciutta” (scolata dall’eventuale brodino) con un pezzo di cipolla e una costa di sedano a dadini, sale, pepe bianco, pangrattato/fiocchi di avena e prezzemolo. Passare nel pangrattato e dorare in padella con un goccio d’olio. Se poi avete anche il sugo da riciclare, la morte sua, allora ciaone.

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quando torni a casa alle otto

e non hai nessuna zuppa pronta dal mattino, nessun avanzo in frigo (anzi a dirla tutta il frigo è deserto), nessuno che cucina per te. Capita a chiunque. Capita anche di non aver proprio voglia di una pasta con… uhm… l’olio? In questo caso o opto per la “frittata” fatta con farina di ceci e cipolle (pronta in quindici minuti al massimo) oppure mi fermo nell’ultimo supermercato che incontro prima di salire sul treno e compro una di quelle tremende bustone di verdura da cuocere tipo spinaci-catalogna-erbette. Quelle già lavate, sì. Perchè se non ho tempo, non ho tempo, e piuttosto che non mangiare verdura, la compro così. Aggiungo anche una lattina di fagioli. Spendo due euro.
[…]
Arrivo in casa e mi tolgo le scarpe. Mi lavo le mani e taglio a fette mezza cipolla, la rosolo in un goccio d’olio mentre faccio a fettine tre patate. Mentre ripasso le patate sciacquo i fagioli sotto l’acqua. Butto in pentola pure quelli, un goccio di vino, mentre evapora metto olio aglio e peperoncino in una padella per le foglie che ho comprato, aggiungo acqua di qua e di là, sale nelle patate e copro. Non più di dieci minuti cronometrati (cinque se siete acrobatici).
Adesso posso andare a cambiarmi, svuotare lo zaino, lavare la schiscetta del pranzo, e quando è pronta la cena sono pronta anche io. Ok, non è alta cucina: ma è buono, riempie e costa poco. È senza glutine. Ha le verdure. Si fa da solo. Personalmente, ci vedo solo lati positivi: perchè non dargli un nome tonante e metterlo sul blog? Ed eccoci qui.

Mash di patate e fagioli alla paprika con catalogna piccante

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Cosa serve (per 2 lupi affamati):

  • 1/2 cipolla (quella che avete)
  • 3 patate
  • 1 lattina di borlotti
  • 400 g di verdura in foglie da cuocere, cruda (erbette, catalogna, spinaci) e pulita
  • 1 spicchio d’aglio
  • olio EVO, peperoncino, paprika, vino rosso, timo, sale alle erbe

Come si fa:
L’ho scritto anche sopra, però in sostanza è più lungo a dirsi che a farsi.
Tagliate a fette la cipolla e mettetela in una pentola con un filo d’olio. Accendete il fuoco medio-basso e pelate e tagliate le patate: più le fate fini, prima cuociono. Io le faccio in 4 spicchi e poi le affetto sottili. Unite le patate alla cipolla che si sarà dorata e mescolate. Scolate e sciacquate bene i fagioli. Aggiungetele in pentola, versate un goccio di vino e mescolate. Mentre il vino evapora prendete una padella, la ungete con un filo d’olio, ci buttate del peperoncino e uno spicchio d’aglio intero e accendete a fuoco alto. Versate le foglie, girate, versate una tazzina di acqua, coprite e abbassate la fiamma al minimo.
Di là il vino sarà evaporato: coprite a filo con acqua (mica volete una zuppa navigante in trenta litri), pizzichino di sale alle erbe e coperchio, fuoco medio.
Ogni tanto controllate e mescolate… soprattutto le erbe.
Cotto? Schiacciate le patate e i fagioli con un cucchiaio o una forchetta. Condite con olio, paprika, timo. Servite.

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la crema dei sogni

la colazione. Croce e delizia dell’italiano medio, da chi non la fa mai (shame on you!) a chi la fa al bar (shame on you lo stesso!), quando salta fuori l’argomento ci si infervora come quando si parla della formazione sbagliata della nazionale. Eppure non è difficile: un frutto, pane e marmellata, un tè caldo sono la mia scelta personale. Poi ogni tanto c’è la torta, ogni tanto i biscotti (vi prego, vi prego, vi prego: se li comprate al supermercato non scegliete quelli con l’olio di palma. Adesso la scelta comincia a essere ampia!), ogni tanto cereali… insomma, non moriamo di noia.
La mia combinazione del cuore nei secoli dei secoli è (rullo di tamburi): pane strapieno di semi (ce n’è uno in val badia che sono praticamente 4 kg di semenza uniti dal minimo indispensabile di impasto da pane con farine buonissssime. Ecco, già sbavo) con sottile strato di tahina (crema di sesamo, ricca di ferro e calcio, crea dipendenza vera. Il gruppo di autoaiuto per tossici di tahina si ritrova in casa mia il martedì sera) e marmellata buona di albicocche (buona=senza zucchero o al massimo poco zucchero di canna!). Fatevi un regalo, provatela!

Arrivo al punto: per le mattine golose, per la voglia di cioccolato, per chi il cioccolato non lo può mangiare, per i nostalgici della crema di nocciole, per i senza zucchero, per i tahinomani (ahoy!), per i carrubomani (malati di carrube: per voi ho fatto anche una toppa bellissima!), per tutti voi amici qui riuniti oggi nel nome della colazione ecco fra noi la crema-paradisiaca-senza-sbatti-pronta-in-due-secondi-olè-olè.

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(Era tutta una scusa per mostrare la tazza nuova che mi hanno regalato a natale, o il mio piattino preferito preso a Londra, o il portafettetostate che tanto amo. Chiaro.)


Cosa serve:

  • 1 cucchiaino colmo di tahina
  • 1 cucchiaino di malto
  • 1 cucchiaino abbondante di carruba in polvere (farina di polpa di carruba)
  • 1 cucchiaino di acqua calda (o té!)

Come si fa:
In una ciotolina mescolate prima carruba e tahina, poi il malto, e infine l’acqua o il té per rendere la crema fluida (potete aggiungere altra acqua). Difficile eh?

Ed ecco la toppa da sfoggiare per l’occasione: ho inciso della gomma nera per creare il timbro, e poi l’ho stampato un po’ ovunque e continuerò a farlo! È uno dei risultati del workshop di xilografia che ho seguito alla Fanzinoteca con il maestro Paolo dell’Officina Stampa Alternativa: che bomba di pomeriggi!
(Info: https://lapipettenoir.wordpress.com
http://praticheyaje.altervista.org/officinastampaalternativa.html)

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