quick & easy, ricette, secondi

Pancakes del lockdown

Tra le ricette che si sono rivelate più utili in questo periodo, ci sono sicuramente loro: i miei amati pancakes di piselli. Già riproposti altre volte con lo tzaziki o con un paté di pomodori secchi, sono un piatto che mi accompagna da sempre e che trovo estremamente versatile.

Vi racconto com’è andata. Tempo di quarantena, tempo di spese contingentate, tempo di grande oculatezza in cucina. Siamo in un lunedì sera della primavera 2020, so che è lunedì solo perché il carico di verdura ordinato con il G.A.S. arriverà il martedì. La penuria parla. Nel frigo giacciono una carota e una manciata di foglie di cicoria, in freezer i piselli e dei frutti di bosco surgelati (inutili alla realizzazione della ricetta, ma è più un ritrovo tra reduci, che una performance gourmet), in dispensa una cipolla, la farina e del latte vegetale. La strada è illuminata a chiare lettere, la tahina non manca, siamo pronti a partire.

Svuotafrigo pretenzioso

Cosa serve (per 2 persone):

  • 230 g di piselli surgelati
  • 100 g di farina integrale
  • 200 ml di latte vegetale o acqua
  • 1/2 cucchiaino di bicarbonato
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 3 cucchiai di olio evo
  • verdure agonizzanti in frigo (carota e cicoria per me)
  • cipolla marinata in acqua e aceto o acidulato di umeboshi
  • 1 cucchiaio di tahina
  • 1 cucchiaino di acidulato di umeboshi (o succo di limone/aceto+sale)

Come si fa:

Per prima cosa, se desiderate usare la cipolla, tagliatela a spicchi sottili e mettetela a marinare in acqua e aceto o acqua e acidulato di umeboshi. Io vado a caso con le dosi, e la lascio marinare tutto il giorno. Potete anche semplicemente saltarla in padella con un filo d’olio e un goccio di aceto, se non avete tempo.

Lessate i piselli e scolateli. Frullateli con il latte (o l’acqua) e l’olio. Aggiungete la farina, il sale e il bicarbonato e mescolate con una frusta. Le dosi possono variare a seconda degli ingredienti, ma la regola di base è che il composto deve essere piuttosto denso. Potete cuocerne uno solo per vedere se il risultato vi soddisfa. Scaldate bene una buona padella antiaderente, quando è molto calda versare un mestolino di impasto alla volta per formare i pancakes. Quando si formano le bollicine in superficie (dopo circa 2-3 minuti), girateli con una paletta e cuoceteli per uno-due minuti dall’altro lato. Teneteli in caldo.

Se la vostra padella non dovesse essere abbastanza antiaderente, tenete a portata di mano un piattino con un goccio di olio e un quadrato di carta da cucina, e ungete il fondo tra un pancakes e l’altro.

Nel frattempo, tagliate le carote a nastri, lavate le cicorie e preparate la divina salsa preferita: il ta-ume (tahin-umeboshi). In una ciotolina, mescolate un cucchiaio di tahina con un cucchiaino di acidulato di umeboshi, quindi aggiungete, poco alla volta, un pochino di acqua per renderla fluida quanto volete. Questa salsa io la uso per tutto: verdure crude, verdure cotte, insalate, insalatone, risi bolliti, pancakes, ma soprattutto asparagi! Attenzione, può dare dipendenza.

Servite! Impilate i vostri pancakes caldi, aggiungete la salsa ta-ume, le verdurine e, se vi sentite chic, qualche immotivato elemento colorato come i frutti rossi surgelati.

Mangiate sognando il frigo pieno dell’indomani.

Mood spring 2020
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Un banana bread senza peccato

Che il nostro consumo eccessivo di zucchero sia un problema, ormai è noto anche ai sassi e no, non è per una questione di calorie, quelle non sono mai state un problema (almeno per la branca di nutrizione che studio). Intendiamoci, quando dico zucchero, parlo di tutta la categoria: bianco, di canna integrale, di canna raffinato, sciroppo d’acero, succo d’agave, malto, sciroppo di riso e, pensa un po’, anche lo zucchero di fiori di cocco, ultima frontiera del capitalismo del benessere. La risposta insulinica tra un tipo di zucchero e un altro può cambiare di poco, ma questo non ne giustifica l’utilizzo, anche perché esistono diversi modi di aggirare il problema – basta conoscerli. Detto questo, se volete preparare una torta con lo zucchero, una volta ogni tanto, non c’è nulla di male (e la mia scelta ricade solo sul Mascobado di Altromercato). Una torta per celebrare un’occasione particolare, se non si hanno patologie pregresse, non è un dramma. Il punto è quantificare ogni quanto andiamo a confortarci con qualcosa di ingiustificatamente dolce.

Facciamo un esercizio.

Quanto zucchero consumate al giorno? Potete calcolarlo voi stessi. Se mangiate biscotti, merendine, cioccolato, marmellata, bevande vegetali dolcificate o prodotti confezionati, trovate sull’etichetta nutrizionale la cifra che state cercando, alla voce carboidrati – di cui zuccheri (fatti e finiti). Stesso discorso per chi beve le bevande come bibite e succhi di frutta. Se dolcificate caffè, tè o tisane, vi basti pensare che un cucchiaino equivale tra i 5 e i 10 g di zucchero. Avete ottenuto un buon risultato? Per scoprirlo, dovete sapere che la quantità massima giornaliera di zucchero da non superare sono 25 g. Già in panico, dopo che nell’ultima torta ne avete messi 200 g? No problem, questo dolce arriva proprio per aiutarvi!

So che le tendenze delle influencer sui bananabread prevedono l’utilizzo di una banana tagliata in due in superficie, ma io ne avevo solo due. Salva anche stavolta dall’omologazione, seppur per vie traverse.

BANANA BREAD SENZA ZUCCHERO

La ricetta è una rivisitazione del dolce di Romina Coppola che trovate a questo indirizzo. Ho sostituito il malto con un frullato a base di uvetta idratata in latte di miglio, ma potete usare qualsiasi bevanda vegetale abbiate in casa. Certo, se è naturalmente dolce come il latte di cereali (e quindi riso, farro, avena, miglio o sorgo), la torta sarà più gustosa. Io ho usato cioccolato fondente all’80%, il che significa che un pochino di zuccheri li contiene: se preferite, potete optare per altra uvetta e tenerlo 100% sugar free.

Cosa serve:

  • 250 g farina integrale
  • 50 g farina di grano saraceno
  • 30 g farina di castagne
  • 15 g di cremor tartaro (o lievito per dolci)
  • 100 g di cioccolato fondente all’80%
  • 6 noci
  • un cucchiaino di cannella in polvere
  • un pizzico di sale
  • 2 banane molto mature (più sono nere, migliore sarà il risultato)
  • 60 ml di olio di semi di girasole spremuto a freddo
  • 90 g di uvetta ammollata in 60 ml latte di miglio per 30 minuti
  • 150 ml di latte di miglio o altra bevanda di cereali

Come si fa:

In una terrina riunite le farine – avendo cura di setacciare la farina di castagne (tende a fare grumi), il cremor tartaro, il sale e le spezie. Con l’ausilio di un buon coltello, riducete il cioccolato a scaglie e le noci a pezzetti, quindi aggiungetele alle farine. Mescolate.

In un frullatore tipo blender o nel bicchiere del minipimer, frullate l’uvetta con il latte. L’ammollo serve a rendere l’uvetta più morbida e lavorabile, il che è prezioso soprattutto per chi non possiede un superfrullatore (tipo me!). Quando avrete ottenuto una crema, aggiungete le banane a pezzetti, il restante latte vegetale e l’olio di semi. Frullate fino a ottenere una crema liscia e versate il composto nella terrina delle farine.

Mescolate in modo sommario con un cucchiaio o una spatola: non stressate l’impasto con fruste o planetarie o rischierete di trasformare il vostro soffice dolce in una mattonella gommosa. Questo trucco vale per tutti i dolci che lievitano in forno, come muffin e pandispagna, ma non vale per una lievitazione lenta come, per esempio, quella dei kanelbullar: qui l’impasto dovrete lavorarlo finché non vi si staccano le braccia. Ma voi, saggiamente, avete scelto il pigro banana bread.

Versate l’impasto in uno stampo da plumcake da 25 cm oliato e infarinato oppure rivestito di carta da forno piegata con cura negli angoli, e infornate a 180° per 35-40 minuti, facendo la prova stecchino (deve uscire asciutto).

Il giorno dopo è ancora meglio. E mi raccomando:

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Turbanti con asparagi e panna di mandorle

Quando penso alla semplicità di un piatto di pasta cerco di non dimenticare quanta fatica mi sia costata all’inizio. Ho iniziato a cucinare alle elementari e già alle medie spesso mi preparavo il pranzo (roba precotta o surgelata, mica masterchef). Fare la pasta era un’impresa titanica. Ne ero quasi terrorizzata. Quanta acqua mettere, quanto sale, l’ossessione per il tempo di cottura e contare i minuti all’orologio della cucina, il terrore di usare lo scolapasta senza ustionarsi o lanciare pasta in giro per il lavello… La fatica poi veniva rigorosamente condita con sughi pronti o un filo d’olio – quindi nemmeno la gloria della polpa che ribolle in un padellino.

La stessa ansia da prestazione l’ho provata quando ho approcciato le verdure. Tagliare un cavolfiore? Roba da scienziati. Per dividere in due un melone avevo bisogno degli astri propizi e per pulire un mazzo di asparagi la benedizione telefonica di mia nonna. Vuoi per indole, vuoi perché in casa mia non è che si cucinasse proprio – tuttalpiù si scaldava, si assemblava, si aprivano buste, pacchetti e scatolini contenenti cibo più o meno pronto – io non è che fossi proprio a mio agio con l’idea di improvvisare una ricetta.

Eppure questo è quello che cerco di trasmettere oggi, attraverso i corsi di cucina, i miei post sui social e questo blog dimenticato. Farsi da mangiare è molto più semplice di quello che sembra. Una volta compreso quello deve succedere perché il piatto sia pronto, tutto viene da sé e si può partire con la fantasia. Una pasta con le verdure è quanto di più banale si possa preparare, anche se la Betti bambina avrebbe qualcosa da dire in merito. Per questo motivo mi sembra inutile e ridondante scrivere questa ricetta, tuttavia è uno spunto per utilizzare la panna di mandorle autoprodotta e per conoscere spezie nuove.

TURBANTI CON ASPARAGI AI DUE PEPI

Cucinare è un atto politico, e scelgo accuratamente chi finanziare. Per questa ricetta ho acquistato i turbanti di Libera Terra, a base di grano coltivato sulle terre liberate dalle mafie. In abbinamento con gli asparagi ho scelto due delle mie bacche preferite, il pepe rosa e il pepe cubebe (milanesi all’ascolto, i miei acquisti li faccio da Kathay al piano inferiore). Conservo le spezie in vasetti di vetro in cassetti al riparo dalla luce e dal calore, e le frantumo al momento con un mortaio, per avere il massimo dell’aroma.

Scusate ma non credo nell’illuminazione casalinga, mi piacciono le luci soffuse e le foto incomprensibili

Cosa serve (per 2):

  • 160 g di turbanti (le dosi non sono realistiche, tutti sanno che io mangio minimo 100 g di pasta a porzione)
  • 250 g di asparagi
  • 150 g di piselli freschi o surgelati
  • mezza cipolla o un cipollotto
  • qualche cucchiaio di panna di mandorle autoprodotta
  • mezzo cucchiaino di pepe rosa (non in salamoia) + mezzo cucchiaino di pepe cubebe [se non le avete, sostituitele con pepe nero appena macinato e scorza di limone non trattato]
  • olio buono e sale

Come si fa:

Mettete a bollire l’acqua per la pasta. Nel frattempo tagliate la cipolla a fettine sottili, seguendo le nervature (parallelamente all’asse radice-apice) e ponetele in padella con un goccio d’olio. Accendete il fuoco a fiamma medio-bassa.

Mentre soffriggono dolcemente, mondate gli asparagi. Tagliate l’ultimo centimetro e usate il pelapatate per eliminare la parte più esterna del fondo, quella bianca: in questo modo non dovrete scartarla ma non risulterà troppo legnosa. Tagliate gli asparagi a rondelle partendo dal fondo: fate pezzetti sottili dove l’asparago è più duro, e permettetevi tagli più irregolari man mano che si va verso la punta. Conservate le punte a parte, se volete fare un buon lavoro.

Aggiungete i piselli surgelati alla cipolla quando questa è rosolata, e dopo un paio di minuti unite anche gli asparagi (senza le punte). Aggiungete qualche cucchiaio di acqua di cottura, regolate di sale e cuocete a fiamma vivace per cinque minuti, quindi unite le punte.

Nel frattempo cuocete la pasta. Quando le verdure sono cotte ma ancora croccanti spegnete.

A fine cottura versate qualche cucchiaio di panna di mandorle, aggiungete la pasta e saltate per un paio di minuti facendo le mosse da chef. Macinate i pepi. Servite cospargendo di polvere profumata e sporcate qua e là con gocce di panna fresca.

Ah, chiaramente, non monta: per quello avete bisogno di grassi saturi e, quindi, di latte di cocco.

Sogno anche io una cucina come quella di Julia Child. Se non sapete di cosa sto parlando leggete qui o qui
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Un armadio pieno di mandorle – ricetta per la panna

Seconda puntata

La prima puntata sul perché ho accumulato un discreto tesoretto di mandorle la trovate qui.

Rieccoci! Dicevamo del latte, che poi ci lascia con una discreta quantità di polpa di mandorla – ma ora che avete studiato sapete che si chiama okara. Cosa farne? Richiamo alla memoria le regole fondamentali del nostro club.

Prima regola della cucina sostenibile: non si butta niente. Seconda regola della cucina sostenibile: non sempre va esplicitato cosa abbiamo usato e dove (vedi certe mie recenti tendenze a sfornare torte paesane che raccattano un po’ tutto quello che è avanzato in frigo. Ma ci arriveremo passo passo, che vi sento già turbati).

Okara di mandorle, che farne? Le scelte sono svariate. Considerate che si presenta come una farina di mandorle più o meno asciutta a seconda di quanta forza sovrumana avete adoperato nel fare il latte. Potete usarla fresca nell’impasto di torte, muffin, crackers e crostate; potete aggiungerla nelle polpette e negli sformati; o potete farne una crema pannosa, che poi è quello che ho fatto io. Potete anche essiccarla e conservarla in dispensa per i tempi futuri. Dato che siamo in quarantena, non prendo in considerazione l’ultima opzione e, anche se lavoro tutto il giorno, la cucina rimane una gran bella distrazione.

PANNA DI MANDORLE

Non immaginatevi una panna leggera come quella che si compra nei supermercati biologici: questa è corposa e ricca di fibre (stiamo proprio riciclando quelle!), ma comunque voluttuosa. Io la uso come topping per porridge o pancakes, o per legare una pasta con le verdure. Ne basta poca!

Porridge di avena con panna di mandorle e frutti di bosco surgelati AKA gattino che dorme nel prato

Cosa serve:

  • okara di mandorle
  • una manciata di mandorle ammollate in acqua per 12 ore (rendono il risultato più cremoso)
  • un pizzico di sale
  • acqua qb

Come si fa:

In un frullatore tipo blender versate le mandorle, l’okara, il sale e l’acqua necessaria a far funzionare le lame (cioè poca, la aggiungerete man mano). Che acqua usare? Va benissimo quella dell’ammollo o del rubinetto.

Frullate per almeno un paio di minuti, aggiungendo acqua man mano fino a che non avrete raggiunto una densità che vi soddisfi. Assaggiate, toccate la consistenza (a motore spento, chiaramente, ci manca solo che finiate al pronto soccorso per colpa mia) e capirete da soli quanto la volete spessa.

Versatela in un barattolo ermetico (do per scontato che anche voi abbiate interi armadietti dedicati al culto del vetro riciclato) e conservatela in frigorifero. Tenderà a separarsi: la parte più pannosa in superficie e quella più liquida sul fondo. Agitatela se volete ripristinare l’emulsione, o godetevi questo divorzio e sfruttatelo a vostro vantaggio.

Tana di vetri, una delle tante

Torno presto a deliziare il vostro tirocinio in cucina. State bene!

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Un armadio pieno di mandorle – ricetta per il latte

Prima puntata

Doverosa premessa: ci voleva il coronavirus per farmi scrivere delle ricette sul sul blog. Dunque, dovete sapere che poco tempo fa il Gruppo d’Acquisto Solidale di cui faccio parte ha proposto un ordine di mandorle biologiche pugliesi. Io sono ghiotta di frutta secca e semi oleosi, anche perché sono una fonte importantissima di nutrienti essenziali, infatti dovremmo mangiarne 30 g al giorno. Io li uso in mille modi, ma fatico a trovarne di buona qualità e a prezzi competitivi (tanto per chiarirci, nel supermercato vicino a casa vendono le mandorle a oltre 23 €/kg, non biologiche – una rapina) per cui attendo sempre con ansia momenti del genere. C’è chi aspetta il black friday e chi vibra al pensiero del prossimo ordine di olio coratina. Morale: ho comprato quasi 10 kg di mandorle, nell’ilarità generale.

Ridevano tutti delle mie provviste da scoiattolina alle porte dell’inverno, poi è arrivato il Covid-19 e improvvisamente stipare la dispensa con chilogrammi di vettovaglie è diventato normale, anzi, una moda. Anche stavolta una Bettitaglietti in anticipo sui tempi. Mi permetto di sottolineare una differenza, per quando tutto questo sarà finito: io non faccio scorta di prodotti in vendita nella grande distribuzione organizzata, dei quali i rifornimenti sono assicurati sempre e comunque. Anzi, non li compro nemmeno. La penne nei pacchi blu, lisce o rigate che siano, non le acquisto da che ho una coscienza politica. Abbiamo scoperto che siamo capaci di ammassare in casa venti confezioni di pasta? Benissimo: iscriviamoci a un G.A.S. e iniziamo a comportarci da consumatori consapevoli, che pagano i produttori e non un sistema che non funziona.

Parlavamo di mandorle, però, e di tutto quello che possiamo farci in giorni come questi, quando la cucina diventa evasione e salvezza. Potremmo scoprire che fare il latte in casa è semplice e ci permette di evitare le confezioni di tetrapak, che sono certamente pratiche e riciclabili, ma sempre di rifiuti si tratta. Abbiamo il tempo per scoprire delle piccole autoproduzioni: approfittiamone.

LATTE DI MANDORLE

Fare il latte di mandorle è semplice: basta metterle a bagno in acqua fredda, frullare e filtrare. Se avete un estrattore, ancora meglio, perché fa tutto lui.

Un cappuccino con la cannella e passa la paura

Cosa serve:

  • 100 g di mandorle pelate
  • 400 ml di acqua
  • un pizzico di sale
  • un dattero denocciolato se vi piacciono le cose dolcine

Come si fa:

Mettete le mandorle in ammollo con acqua e sale (e dattero, eventualmente) per 12 ore. Il rapporto per ottenere un buon latte va da 1:3 a 1:5, ossia una parte di frutta secca per tre, quattro o cinque parti di acqua. Se mettete più acqua verrà troppo diluito, se ne usate di meno costerà troppo e mi verrete a cercare. Se avete le mandorle non pelate, sbucciatele dopo l’ammollo (eventualmente cambiate l’acqua). Se vi aiutate con un telo da cucina è semplice: mettete le mandorle su una metà e frizionatele con l’altra metà del telo, come se fosse chiuso a libro. Se non ci riuscite, ricordatevi che avete il pollice opponibile.

[FRULLATORE] Versate tutto nel boccale di un frullatore e frullate per due minuti alla massima velocità, quindi filtrate il latte ottenuto separando la polpa (in gergo chiamata okara) con un colino a maglia fitta o in un quadrato di stoffa bianca pulita (ideali sono uno scampolo di lino o cotone, sciacquati benissimo da ogni residuo di detersivo – io li faccio addirittura bollire ma forse esagero). Strizzate bene per ottenere quanto più latte possibile. PS se fate riposare il latte un’ora in frigorifero prima di filtrarlo, otterrete un latte più ricco.

[ESTRATTORE] Versate tutto in un estrattore, avendo l’accortezza di chiudere la bocchetta di scarico, in modo che l’acqua possa lavorare al meglio con le mandorle. Aprite la bocchetta et voilà! Pronto.

Si conserva 4 giorni in frigorifero, ma lo sapete meglio di me che finirà in 24 ore al massimo. Non buttate l’okara, che torna sempre utile dentro un biscotto o una polpetta e attendete la prossima puntata dei miei deliri alla mandorla.

PS per fare la schiuma da cappuccino senza la macchina apposita, usate il minipimer: fate su e giù nel pentolino incorporando aria, e datevi un tono su Instagram.

Una vita difficile.

Ci vediamo tra qualche giorno per la seconda puntata!

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canederli connection

Oh welcome back, sono finite le ferie? Io ho preferito il tepore umido della pianura padana, per stavolta: ho apprezzato un’acqua diffusa nell’aria, anziché vederla concentrata ai miei piedi. Scelte vincenti. Siamo di nuovo in cucina, a guardare mestamente gli irriducibili baluardi che hanno picchettato tutta estate nei pensili. Tipo la semola di grano duro, che è sfuggita alle camole con delle piroette alla matrix. O il pane secco che, nonostante la già citata umidità lombarda, è riuscito comunque a diventare duro come le teste di alcune persone note ai più. Sarà proprio lui il protagonista di questa ricetta talmente estiva, ma talmente estiva, che nonostante i tremila gradi all’ombra l’abbiamo proposta anche alla festa di radio onda d’urto in data ventuno agosto duemiladiciotto. Allego testimonianza fotografica dell’accaduto. Aggiungo anche l’aneddoto della serata, per metterlo agli atti (abbiamo notai in sala?): una signora seduta (casualmente) al tavolo con degli amici, elogia i nostri canederli al punto che la mia amica mi chiama fuori dalla cucina per salutare la cara ammiratrice. La quale, al grido di selfiezzamoci!, mi abbraccia e mi chiede di pigiare il magico tastino per l’istantanea. Chiudo in gloria, applausi scroscianti, si chiude il sipario, fine primo atto.

canederli e selfie anche per la nostra super responsabile di stand (e per un braccio volante)

Insomma ieri, in preda all’entusiasmo che solo un frigo pieno di verdura fresca, bio e a km 0 può darti (specie dopo un’estate in solitaria in cui o cucinavo per ottanta persone o non mi facevo nemmeno bollire l’acqua per il cous cous), mi sono guardata in giro per trovare ispirazione su cosa cucinare. La scena è stata all’incirca la seguente.

Va da sé che l’idea del canederlo ha iniziato a ballarmi in testa. Normalmente faccio riferimento a questa mia vecchia ricetta, di volta in volta reinterpretata a sentimento. Se siete di quelli che hanno bisogno delle dosi al milligrammo, andate a vedere il link; se invece siete per l’anarchia anche in cucina, proseguite senza rimpianti.

Notate la qualità della foto, grazie

Prima di lasciarvi al motivo per cui siete venuti qui, ossia la ricetta (presumo), vorrei salutare il pubblico a casa e dedicare questi lussuriosi gnocchi di pane a due donzelle che oggi compiono gli anni. Le suddette sono state mie talentuose allieve al corso di cucina naturale che ho tenuto in primavera a Cernusco sul Naviglio, e dato che conosco le mie pollastre, so che vorranno la ricetta (edit: Chiara mi ha appena scritto, infatti). That’s why ho scritto canederli connection (ennesimo titolo dal quale non si capisce niente di quel che ho preparato): più vado avanti e più sono convinta che i legami instaurati intorno ai fornelli siano i più speciali. Buon compleanno, ragazze <3

CANEDERLI DI TENERUMI CON MELA RENETTA GRIGIA E CIPOLLA DI TROPEA

Cosa serve:

  • 150 g circa di pane secco
  • brodo vegetale freddo o latte vegetale non dolcificato qb
  • una cipolla di tropea
  • una mela renetta grigia (non perché ammuffita)
  • semola di grano duro o farina integrale di grano tenero o un mix delle due qb
  • 500 g di tenerumi di zucchina (googlateli) o altra verdura in foglia da cuocere
  • olio evo, sale, pepe, noce moscata, vino bianco, salvia e rosmarino
  • panna vegetale qb (facoltativa)

Come si fa:

Tagliate il pane secco a cubetti piccoli, fatevi venire una bella vescica sull’indice e maledite il momento in cui avete scelto di fare questa ricetta. Mettetelo in una ciotola capiente e, mentre mescolate con le mani, aggiungete il brodo finché tutto il pane non si è bagnato, ma senza diventare uno zuppone. Lasciate riposare.

Nel frattempo lavate i tenerumi (o qualsiasi altra foglia verde: erbette, spinaci, borragine) e lessateli in poca acqua salata. Scolateli, strizzateli, frullateli o tritateli finemente.

Tritate mezza cipolla e soffriggetela con poco olio. Se l’avete, una sfumatina di vino bianco ci starà benissimo.

Riprendete il pane: strizzate ed eliminate l’eccesso di brodo, aggiungete le foglie sminuzzate, la cipolla soffritta, il pepe, una valanga di noce moscata e impastate. Aggiungete la semola a cucchiaiate, sempre mescolando: dovrete ottenere un impasto morbido ma che riesca a formare delle palline. Regolate di sale. Lasciate riposare dieci minuti, poi formate le palline: non troppo grosse, fidatevi.

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A questo punto mettete su l’acqua per la cottura e preparate il condimento: affettate la mezza cipolla rimasta sottile, seguendo le nervature. Mondate la mela e tagliatela a mezze fettine spesse 1-2 mm. Rosolate la mela e la cipolla in una padella capiente con olio buono, quindi sfumatele con il vino bianco, aggiungete un trito di salvia e rosmarino freschi (un cucchiaio circa) e allungate con un goccio di panna vegetale.

Quando l’acqua bolle salatela, calate il primo canederlo e vedete come regge la cottura. Se tutto procede per il verso giusto, dopo qualche minuto salirà a galla e voi potrete lanciarlo nella padella del condimento a rosolare. A questo punto assaggiatelo con quel pathos coloniale che solo nelle pubblicità dell’ananas in lattina potete trovare. Avete detto sì? Tuffate gli altri canederli, delicatamente mi raccomando, e proseguite come sopra. Servite con dei semini di papavero e dell’altra noce moscata.

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il giorno dei kanelbullar!

Gaudio e tripudio – oggi è il giorno nazionale svedese dei kanelbullar, ovvero quelle brioche morbide alla cannella che portano dritti in paradiso. E com’è possibile che in questi anni non abbia mai trascritto qui la ricetta? Imperdonabile. In quattro e quattr’otto mi sono messa sotto per recuperare, a patto che voi li chiamiate kanelbullar e non cinnamon rolls. Please.

Io personalmente preferisco la versione al cardamomo, ma è questione di gusti. Ovviamente, una volta partiti col trip delle girelle, vi troverete a farcirli con qualsiasi cosa, letteralmente. Io li faccio spesso anche salati, ripieni di crema di pomodori secchi, mandorle e panna di riso. Attendo i vostri esperimenti!

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foto d’epoca rispolverata per il gran giorno

Cosa serve (per 12 grandi o 18 medie) :

per la pasta lievitata:

  • 200 g di farina di farro
  • dai 250 ai 300 g di farina integrale
  • 100 g di acqua tiepida
  • ½ cubetto di lievito di birra*
  • 1 cucchiaino di malto
  • 50 g di zucchero
  • 140 ml di latte di soia o mandorla (non zuccherato)
  • 55 g di olio di semi di girasole
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino di cannella in polvere (o cardamomo in polvere)

per la farcia:

  • 100 g di zucchero integrale di canna
  • 1 cucchiaio di cannella in polvere (o cardamomo in polvere)
  • 2 cucchiai di farina integrale
  • 3 cucchiai di olio di semi di girasole
  • granella di zucchero o filetti di mandorle per guarnire

Come si fa:

Preparate la pasta come prima cosa: sciogliete il lievito nell’acqua tiepida con il malto. Fate riposare due minuti. Versatelo in una ciotola con la farina di farro, l’olio, il latte, la cannella, lo zucchero e il sale. Mescolate per almeno un minuto. Aggiungete la farina integrale 100 g alla volta: fermatevi ai 250 g e impastate vigorosamente, a mano, per almeno 5 minuti. Vi si devono staccare le braccia dalla fatica! Trascinate l’impasto sul piano e riprendetelo per renderlo elastico. Al bisogno, spolverate il piano e le mani di farina.
Quando avete ottenuto una palla liscia, ungetela leggermente e mettetela in una ciotola. Copritela con un telo umido e fate riposare al caldo per un’ora, fino a che non raddoppia (*). Io preferisco tenere tempi di lievitazione più lunghi.

Preparate la farcia mescolando zucchero, farina e la spezia prescelta in una scodella. Tenete l’olio a parte.

Stendete la pasta lievitata in un rettangolo alto 6-7 mm, ungetela con l’olio in modo uniforme e distribuite la polvere su tutta la superficie. Arrotolate come mostra l’immagine di Johanna Kindvall:

bunssteps

Disponete le girelle su una teglia rivestita di carta da forno e fatele lievitare, coperte da un canovaccio, ancora un’ora in un luogo tiepido. Spesso le lascio riposare tutta la notte e le inforno al mattino, per una colazione fragrante.

Spennellatele con un goccio di latte, guarnite con zucchero in granella (per i kanelbullar) o mandorle a filetti (per i kardemummabullar) e infornate.

Cuocete a 180° per 18-24 minuti, fino a che non sono dorate.

Servitele tiepide.

*se avete a disposizione tanto tempo, vi consiglio di utilizzare 1/4 di cubetto di lievito e almeno 8 ore di lievitazione

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melanzane speziate all’aceto balsamico, riso rosso e nuovi inizi

Questo blog ormai è una danza della latitanza e della titubanza. Titudanza. Riesco a immaginarla: muovo il piede destro o quello sinistro? Le braccia dove le tengo? Vengo o non vengo?

So che dietro lo schermo ci sono tante persone che non vedo da tempo, che ogni tanto passano di qui a vedere che combino, e so di deluderle rimandando di continuo la pubblicazione di qualcosa. Tutto mi sembra sempre troppo poco: poco creativo, poco bello, poco utile. Il web pullula di qualsiasi ricetta, ognuna riprodotta in decine di varianti, e il mio apporto alla causa mi pare facoltativo, trascurabile, irrisorio. Il tempo richiesto per una ricetta fatta bene non c’è mai: io voglio mangiare, posso sì scattare una foto col telefono ma di sicuro non tiro fuori la reflex per questa inutile robetta. E la storia, ciclica, si ripete: tutto è buono ma niente è all’altezza. Tanto vale chiudere?

Penso poi al mio percorso: togliere, togliere, togliere. Sempre meno zucchero, niente margarina, niente olio di palma, niente alimenti raffinati: il mio gusto cerca sapori diversi da quando ho iniziato e infilavo mezzo panetto di margarina in ogni torta. Più puro, più sano. Tante mie amiche blogger stanno facendo lo stesso, chi più e chi meno, chi prima e chi dopo. Ma non è un percorso universale: le mamme delle amiche, le amiche della mamma, chiunque abbia piacere a passare di qui, non tutte partiamo dallo stesso punto. Allora forse conviene andare avanti a mettere quello che cucino, quello che mi piace, la mia cucina quotidiana che è molto soddisfacente, e pensare alle mie donne che aspettano un consiglio o una ricettina.


Fatta questa doverosa premessa, che spiega molte cose (del perché preferisco scattare foto sulla mia pagina facebook, scrivere ricettari a macchina e fare corsi a contatto con la gente), mi ritrovo tornata dalle vacanze con la casa vuota tranne per un paio di cose. Tra queste un pacco, conservato come l’oro, di riso ermes, donatomi da una nuova amica (con il nome più battagliero che il mondo ricordi) quando l’estate era appena iniziata ma di caldo ce n’era già un gran tanto.

melanzane

Cosa serve (per 3):

  • una melanzana di media grandezza
  • uno spicchio d’aglio
  • un cipollotto
  • due coste di sedano
  • una manciata di uvetta
  • cannella, noce moscata, due chiodi di garofano, peperoncino, sale integrale
  • aceto balsamico di modena di buona qualità
  • un cucchiaio di zucchero mascobado (meglio succo d’agave, se l’avete, o malto)
  • un mazzettino di prezzemolo
  • riso ermes (due pugni a testa)

Come si fa:

Tagliate la melanzana a fette spesse 8 mm e cospargetele di sale fino. Fate riposare per trenta minuti. Sciacquate e tagliate a dadini, fate a fettine anche il sedano. Scaldate un fondo d’olio con un pezzetto  di peperoncino e imbiondite aglio e cipollotto tritati. Unite le melanzane e il sedano, l’uvetta, le spezie a piacere, un bicchiere d’acqua, due-tre cucchiai di aceto, lo zucchero e coprite. Cuocete a fuoco dolce per trenta-quaranta minuti, controllando che non si attacchi al fondo. Regolate di sale, alzate la fiamma per far rapprendere il tutto, unite abbondante prezzemolo tritato e servite con riso ermes bollito.

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gazpacho di anguria

Che faccia un caldo irreale ce ne siamo accorti tutti. Quando esco dalla mia tana sento la pelle che mi brucia, le zanzare mi divorano nonostante i repellenti che mi spalmo, e tutto è una fatica. In casa, dove sono confinata per studiare, me la cavo egregiamente con un ventilatore e un catino d’acqua in cui pucciare i piedi mentre sto seduta al tavolo. Dignità zero ma goduria elevatissima.

Quindi? Mangio sostanzialmente insalate, frutta e verdura cruda, qualche volta mi faccio una pasta e sudo nel farla e sudo nel mangiarla, allora mi passa la voglia e torno ai miei cetrioli. No pasta al sugo, no pasta al sudo.

Come se non bastasse, non posso più mangiare i pomodori: la mia allergia al nichel si è stronzificata e non posso più fare finta che non esista. Estate doppiamente difficile: sto mangiando cetrioli e zucchine, zucchine e cetrioli e mi annoio, quindi metto frutta dappertutto, e cipolla cruda. Tanto sono chiusa in casa, nessuno avrà qualcosa da ridire (forse).

Ma l’estate per me vuol dire gazpacho, e averlo preparato al pomodoro l’altra sera mi ha fatto salire una voglia irrefrenabile. E proviamo con l’anguria, dai. Tanto il concetto di base è semplice: pane secco, aceto e un goccio d’olio, verdura, un goccio d’acqua. Frigo. Frulla.

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Cosa serve:

  • due panini secchi
  • un pezzo di anguria (da 1/4 di anguria – il classico spicchio che vi tagliano al mercato – ricavatene 1/3)
  • un cetriolo
  • tre coste di sedano
  • un cipollotto di tropea
  • aceto di vino rosso abbondante – da provare con l’aceto balsamico o altri aceti carini
  • olio evo
  • sale o acidulato di umeboshi (meglio!)

Come si fa:

Va preparato almeno sei ore prima. Al mattino o a mezzogiorno per la cena, la sera per il pranzo.

Spezzettate il pane (se è troppo duro lasciatelo così), mettetelo in una ciotola e conditelo con abbondante aceto. Aggiungete l’anguria a pezzi, il cetriolo a fette, il sedano a tocchetti e il cipollotto a fettine. Unite un goccio d’olio (poco!), un paio di cucchiai di acidulato di umeboshi (che sala e acidifica ulteriormente, io lo amo!) o un pizzico di sale, versate un bicchiere d’acqua e mescolate.

Coprite e refrigerate.

Al momento di consumarlo, frullatelo aggiungendo acqua se lo volete più liquido (a me troppo brodoso non piace, preferisco tenerlo un po’ cremoso).

Extra: scorza di limone o menta o melissa. No, niente vodka.

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zucchine ripiene e insalata di pesche

so bene che è da folli proporvi una ricetta al forno con questo caldo criminale, ma ve la posso spiegare. Non sto cercando di farla finita, aumentando ulteriormente la temperatura di casa. Semplicemente, qualche giorno fa mi sono alzata all’alba (almeno ho fatto colazione con la mia bella) e ho iniziato a cucinare, nel fresco del mattino. Alle otto ho infornato una torta salata, quattro zucchine ripiene e due crostatine (ho un forno grande, sì!), e per il resto della giornata sono stata libera di fare le tremila cose che mi ero prefissata. Furba, eh? La verità è che sto diventando sempre più anziana. Fra un po’ mi ritroverete a mettermi le scarpe col calzascarpe o a giocare a scala quaranta con il reggicarte. Anzi, ho sempre preferito Machiavelli a scala, quindi è deciso! La location già ce l’ho: sotto casa ho un simpaticissimo bar frequentato da vecchi ubriachi che litigano e urlano giocando a scopa tutto il giorno. Una pacchia.

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Questa la testimonianza che dico il vero!

Cosa serve (per 2 persone):

  • 4 zucchine tonde
  • un bicchiere di miglio
  • tre cipollotti
  • tanto basilico
  • stracchino di riso qb o labné di soia o hummus di ceci
  • 2 pesche gialle
  • 2 pesche tabacchiere bianche
  • aceto balsamico buono
  • olio buono, sale integrale, pepe nero macinato fresco

Come si fa:

Tagliate la sommità della zucchina lasciando poca polpa attaccata al picciolo. Svuotatele con un cucchiaino o uno scavino per frutta, facendo attenzione a non bucarle (lasciate uno spessore massimo di 5 mm).

In un pentolino scaldate due cucchiai di olio con 2 cipollotti tagliati a rondelle fini, poi aggiungete il miglio, tostate un minuto e coprite con 3 bicchieri di acqua salata (o brodo). Portate a bollore, mettete il coperchio e abbassate la fiamma al minimo. Cuocete 20 minuti.

A parte rosolate la polpa delle zucchine, grossolanamente triturata, con olio e l’ultimo cipollotto. Salate, coprite e stufate con un cucchiaio di acqua. Sono pronte quando sono appassite e un po’ dorate.

Mescolate il miglio con le zucchine trifolate e abbondante basilico spezzettato con le mani. Riempite le zucchine con un cucchiaio di miglio, un cucchiaio di stracchino e terminare con il miglio. Chiudete con il cappello e cuocete in forno già caldo a 180° per 20 minuti. In alternativa, ungete un tegame piccolo, ponete le zucchine, due cucchiai di acqua e copritele. Cuocete a fuoco lento per 30 minuti, aggiungendo acqua se si attaccano.

Servite con insalata di pesche: lavate e tagliate le pesche e conditele con tanto basilico, olio buono, aceto balsamico, sale integrale e pepe nero appena pestato. L’ideale. (Non posso più mangiare i pomodori, se è quello che vi state chiedendo!) Pesche e basilico, una delle mie accoppiate preferite.

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Vi aspetto venerdì e domenica a Triuggio (MB) per due incontri sulle erbe spontanee!

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